I Beni Culturali
Un bene culturale è tutto ciò che concorre a costruire la cultura di un popolo, vale a dire ogni testimonianza materiale avente valore di civiltà. La definizione risulta controversa sul piano concettuale, legislativo ed economico, perché la nozione comprende ogni cosa d’arte, dalle manifestazioni culturali all’ambiente naturale.
“Bene culturale” e “bene d’arte” non sono sinonimi. Il bene culturale è un concetto con valenza istituzionale e tale caratteristica viene acquisita come l’effetto di una regola sociale codificata (più precisamente il procedimento tramite il quale si attribuisce tale caratteristica è indicato con l’espressione identificazione dei beni culturali). È necessario quindi un intervento formale di leggi, usi o convenzioni, con carattere durevole, e di un’organizzazione che amministri e applichi tali norme ad un gruppo di beni culturali. La creazione, la conservazione e la gestione dei beni culturali coinvolgono aspetti giuridici ed economici che fanno riferimento a specifici ordinamenti nazionali.
Luigi Bobbio individua cinque concezioni circa il criterio con cui le istituzioni devono amministrare il bene culturale:
1) Approccio nazionale- patrimoniale;
- i beni culturali sono un patrimonio della nazione
- lo Stato deve tutelare, gestire e promuovere la conoscenza del patrimonio culturale
- i beni culturali di proprietà privata possono essere soggetti a vincolo, poiché ricadono nell’interesse pubblico
- sono vietate le esportazioni di beni culturali che impoveriscono la comunità
2) Approccio societario
- i beni culturali appartengono ai “gruppi” (istituzioni giuridiche o associazioni spontanee) che li governano
- sono permesse le esportazioni di beni culturali, salvo un’opzione di priorità concessa ai gruppi d’interesse
3) Approccio cosmopolita
- i beni culturali appartengono all’umanità e sono tutelati nell’interesse globale
- la gestione dei beni culturali è demandata a chi li conserva meglio e nel modo più efficiente
- non esistono restrizioni alle esportazioni (se lo spostamento permette una migliore conservazione e fruizione)
4) Approccio contestualista
- la gestione di beni culturali è regolata in maniera diversa a secondo il contesto e le relazioni in cui sono inseriti
- questa concezione esalta la relazione bene – ambiente – società sia rispetto alla tutela sia rispetto alla fruizione
- le esportazioni sono proibite (proprio perché lo spostamento modifica la relazione del bene con l’ambiente e la società)
5) Approccio minerario
- il bene culturale viene considerato una risorsa da sfruttare- il patrimonio artistico è fonte di introiti diretti e indiretti
- l’utilizzo del bene è regolato da programmi di gestione ottimale delle risorse
- la gestione del bene può essere anche privata se ciò permette di realizzare in modo più efficiente il programma ottimale
- l’esportazione è possibile a seconda della sua convenienza economica
Spesso emergono problemi della collocazione geografica dei beni culturali. É nota la diatriba che divide Gran Bretagna e Grecia sulla restituzione dei fregi del Partenone di Atene asportati da Lord Elgin che si trovano attualmente al British Museum di Londra. Simili problemi sono emersi anche in Italia per i due bronzi recuperati nel 1972 al largo della costa di Riace in provincia di Reggio Calabria. Recentemente è emerso un altro caso, quello della collocazione dell’affresco della Madonna del prato di Piero della Francesca a Monterchi (Arezzo). L’UNESCO
Dal 1946 l’Unesco ha tra i suoi obiettivi la tutela dei beni culturali e la conservazione della natura. La Convenzione Unesco del 1972 obbliga al rispetto e alla conservazione del patrimonio culturale dell’umanità. I beni che fanno parte del patrimonio culturale cono presenti sul territori nazionale di ciascun Stato o acquisiti da missioni archeologiche con il consenso del paese d’origine, i beni di scambio quelli ricevuti a titolo gratuito o acquistati legalmente con l’assenso del paese d’origine. Sono tanti i beni facenti parte del patrimonio culturale dell’Unesco in Italia. Per esempio: Lipari e le isole Eolie; Villa Romana del Casale (piazza Armerina, Agrigento); Il parco nazionale del Cilento, Paestum e il Vallo di Diano (Salerno); la costiera di Amalfi; il centro storico di Napoli, Roma, S. Geminiano, Urbino, Siena, Verona, Firenze, Pienza; area archeologica di Pompei, i trulli di Alberobello eccetera. É chiaro che l’Unesco ha un approccio molto cosmopolita. É evidente nell’affermazione che la protezione dei beni è un dovere dell’intera comunità internazionale senza riguardo al territorio in cui sono collocati. Con l’Unesco collaborano varie organizzazioni internazionali, per esempio l’Icom (International Council of Museums), l’Icomos (International Council of Monuments and Sites) e altre. L’azione pubblica e i beni culturali
Le azioni che si possono intraprendere nei confronti dei beni culturali possono essere distinte in:
a) la tutela dei beni culturali, quindi l’attività diretta a riconoscerli, conservarli e proteggerli. L’ampiezza della tutela dei beni varia a seconda che siano di proprietà pubblica o privata e a seconda che siano bei immobili o mobili.
b) l’inventario e la catalogazione- sono attività conoscitive di controllo e monitoraggio; l’obiettivo è quello di acquistare e ordinare informazioni e di portare alla luce il patrimonio non ancora recuperato
c) la valorizzazione cioè attività diretta a migliorare le condizioni di conoscenza, conservazione e fruizione dei beni culturali. La valorizzazione si realizza in collaborazione con varie istituzioni culturali, turistiche e di ricerca. Si serve di esenzioni fiscali e i contributi per gli interventi di restauro (interventi indiretti) e di interventi diretti di restauro.
Rientrano nella valorizzazione:
l’organizzazione di studi e ricerche, di iniziative scientifiche, didattiche, divulgative e altre
la ricerca di connessioni tra i beni culturali e ambiente
le operazioni di recupero
il restauro e le nuove acquisizioni
d) la promozione cioè attività diretta a suscitare interesse verso i beni culturali
e) la gestione cioè attività diretta a favorire la fruizione dei beni culturali concorrendo alle finalità di tutela e di valorizzazione
Questa distinzione non sempre corrisponde a quella operativa. I diversi momenti sono legati tra loro e spesso le azioni sui beni culturali devono essere sviluppate unitariamente.
Per quello che riguarda il ruolo dello Stato nell’ambito dei beni culturali distinguiamo Stato minimale (l’intervento dello stato si limita al minimo indispensabile, cioè alla conservazione e alla tutela) e forme più incisive di intervento.
Una volta dato il livello di intervento, la scelta successiva riguarderà il soggetto preposto alla cura dei beni culturali. Distinguiamo soggetto pubblico e privato. Da una parte si propongono le privatizzazioni (trasferimento della proprietà dal pubblico al privato), dall’altra parte si considera opportuno mantenere la proprietà e la gestione dei beni culturali del soggetto pubblico. Esistono anche situazioni intermedie.
Le diverse soluzioni hanno provocato spesso un vivo dibattito.
La privatizzazione dei beni culturali
In generale si tende a limitare la superiorità della proprietà pubblica ai casi in cui l’innovazione tecnologica stimolata dal mercato è poco importante, se l’incentivo alla riduzione dei costi porta ad una riduzione della qualità del bene prodotto dall’impresa privata, se i meccanismi reputazionali per le imprese sono di importanza limitata o se la competizione tra imprese è debole e i consumatori non hanno libertà di scelta. Nel caso dei beni culturali l’importanza dell’innovazione tecnologica è limitata nel caso di beni culturali già esistenti. Le attività accessorie come ristorazione e merchandising possono essere appaltate ai privati.
Poiché l’incentivo alla riduzione dei costi è maggiore per l’impresa privata rispetto a quella pubblica, se lo Stato potesse determinare per contratto la qualità del prodotto da fornire, ci sarebbe un ovvio incentivo da parte sua a delegare la produzione al settore privato. Inoltre, l’irripetibilità del bene culturale limita la concorrenza tra le imprese e le scelte dei consumatori. Tutto sommato, sembra che ci siano importanti ragioni teoriche per limitare la proprietà dei beni culturali alle imprese private, specialmente se for-profit.
Si sostiene però che la gestione pubblica dei beni culturali crea X-inefficienze che si concretizzano in un aggravio dei costi e in una insufficiente valorizzazione dei beni culturali. Se per motivi finanziari e di inefficienza gestionale gli edifici storici rimangono chiusi, sarebbe meglio cederli ai privati.
C’è chi sostiene che l’alienazione di beni culturali ai privati può essere ammessa solo a determinate condizioni: a) l’individuazione in sede politica di un elenco chiuso di beni alienabili, siano essi di pregio o in disuso; b) l’imposizione di precisi vincoli di destinazione e d’uso in capo al futuro acquirente.
C’è anche chi propone di mantenere la proprietà pubblica dei beni culturali, ma lasciarne al privato la gestione. Questa posizione incontra due obiezioni: una di natura ideologica- chi sostiene questa posizione denuncia la pericolosità della gestione dei beni sulla base della loro redditività immediata, perché ciò privilegia i grandi spazi museali e i momenti spettacolari con immediati ritorni di reddito e di consumo a scapito della formazione e della crescita culturale della società; la seconda obiezione è di natura pragmatica: l’ingresso dei privati può avvenire in un assetto istituzionale che garantisca l’effettiva integrità del bene culturale.
L’organizzazione statale per i beni culturali in Italia
Gli organi del Ministero per i beni e le attività culturali preposti a tutela, recupero, restauro e gestione dei beni culturali demaniali su specifici ambiti territoriali sono le soprintendenze. Il Ministero decide la ripartizione dei fondi e dell’organico tra le soprintendenze, queste ridistribuiscono le risorse loro assegnate tra i diversi musei e monumenti di loro competenza.
Il Ministero è suddiviso in tre dipartimenti:
antichità, belle arti e paesaggio
spettacoli e sport
ricerca e ricreazione
da cui dipendono le direzioni generali: beni librari e istituti culturali, archivi, architetture e arte contemporanea, beni archeologici, patrimonio storico, artistico e demoantropologico, beni architettonici e paesaggio, teatro, cinema e musica.
Nelle 17 regioni ordinarie poste sotto il controllo del Ministero operano 69 diverse soprintendenze ordinarie, distinte in archeologiche, per i beni artistici e storici, per i beni architettonici e paesaggio, archivistiche e soprintendenze miste.
La soprintendenza regionale ha competenza gerarchica sulle unità periferiche regionali e svolge funzioni di supervisione e coordinamento. Ci sono 17 soprintendenti regionali. Le soprintendenze dispongono di poteri forti ma circoscritti e rigidi, mentre le regioni e i comuni hanno al contrario poteri più generici e godono di un a flessibilità maggiore, ma le loro competenze sono meno puntuali. Mentre le regioni e i comuni hanno bisogno delle soprintendenze per qualsiasi iniziativa che coinvolga i beni culturali, non è vero il contrario.
Il decentramento può essere sviluppato secondo tre modelli:
il mantenimento del settore dei beni culturali al sistema statale centrale
l’inserimento dei beni culturali nel generale decentramento amministrativo imperniato sui livelli regionale e locale (questo modello applica ai beni culturali il principio di sussidiarietà secondo cui lo Stato centrale si dovrebbe occupare di tutela, mentre gli enti territoriali locali si dovrebbero occupare della fruizione poiché solo a questo livello ci si può avvicinare il mercato e il settore pubblico)
un compromesso tra i due modelli precedenti, con forme di decentramento specifico per i beni culturali a seconda delle località e delle competenze
L’amministrazione comunale dei beni culturali in Italia
L’80 % dei comuni italiani vanta almeno un bene di notevole interesse artistico e turistico. I comuni hanno la responsabilità delle politiche dell’accoglienza che rendono questi beni fruibili ai turisti.
Il comune ha la possibilità di scegliere fra tre opzioni previste dalla legge n. 142/1990 nella valorizzazione dei beni culturali. Questa legge assieme a quella n. 127/1997 prevede per i comuni le seguenti scelte:
la gestione in economia e concessione a terzi
l’istituzione
l’azienda speciale
le società miste a prevalente capitale pubblico e privato
le convenzioni
i protocolli d’intesa
gli accordi di programma
i consorzi
i patti territoriali e i contratti d’area
La gestione dei beni culturali in Francia
La Francia è una nazione all’avanguardia nello sviluppo dei flussi turistici legati alla valorizzazione della cultura.
L’ottica gestionale francese (diversa da quella Italiana) riflette un processo storico caratterizzato dalla centralità dello Stato, dal portato della Rivoluzione che concentrò nello Stato la proprietà della corona, della chiesa e dei nobili e così via.
La creazione e sviluppo dell’arte e della cultura in Francia si deve ad alcuni personaggi noti: Charles de Gaulle, Georges Pompidou, Valéry Giscard d’Estaing, Francois Mitterrand e altri.
In Francia il finanziamento delle opere ha seguito da tempo politiche di compartecipazione pubblico-privato a livello cittadino, dipartimentale e regionale, di agevolazioni fiscali per i partner privati e di forme di mecenatismo finanziario e tecnologico, perseguendo una strada che in Italia ha cominciato a essere battuta solo dalla fine del 1990.
Il restauro dei monumenti francesi non è solo un puro recupero, ma un investimento volto al reinserimento del bene culturale nel processo di creazione e diffusione delle nuove idee, nonché il ruolo didattico e di ricerca. Anche la tutela in Francia è spesso considerata un restauro- ristrutturazione motivata da un concetto dinamico di creazione di cultura per le generazioni future.
La classificazione economica dei beni culturali
I beni culturali hanno alcune caratteristiche che è importante riassumere:
irripetibilità (i beni culturali sono irriproducibili e originali)
illimitatezza (l’insieme dei beni culturali non è chiuso)
bene culturale può essere sia di consumo sia d’investimento
Classifichiamo i beni culturali in:
beni culturali distinti secondo la loro collocazione
- beni situati nell’ambito del territorio
- beni conservati in collezioni, gallerie, musei o biblioteche
beni culturali distinti secondo la proprietà
- beni di proprietà pubblica
- beni di proprietà privata
beni culturali distinti secondo la loro tipologia economica
- beni privati (se il loro uso è escludibile e rivale nel consumo)
- beni pubblici (se il loro uso è non escludibile e non rivale)
Queste classificazioni sono in relazione fra di loro. Inoltre, si può considerare un’ altra classificazione che riguarda i beni di proprietà privata:
1. beni culturali di proprietà privata- siano essi di natura pubblica o privata, possono essere sottoposti a limitazioni del diritto di proprietà. Anche se un soggetto privato ha la proprietà ‘piena’ di un bene culturale, la sua appartenenza al patrimonio storico- culturale di uno Stato è riconosciuta come motivazione sufficiente per limitare la facoltà di godimento e di disposizione del proprietario. Esistono due restrizioni di legge nell’esercizio del diritto di proprietà per i beni culturali di proprietà privata:
- proprietà con uso limitato: sono proibiti alcuni usi del bene culturale; divieto di alterazione imposto al proprietario- divieto di demolizione, modificazione e rimozione
- proprietà a uso richiesto: sono imposti alcuni usi ai beni culturali; i vincoli imposti al proprietario nell’utilizzo del bene per usi non compatibili con il carattere storico oppure tali da creare pregiudizio alla conservazione o integrità del bene stesso
Le restrizioni del diritto di proprietà impongono sempre un costo al proprietario in quanto lo obbligano a una spesa maggiore o gli impediscono un guadagno ottenibile tramite lo sfruttamento di alternative più remunerative.
Per questo i divieti potrebbero essere accompagnati da un sistema di sovvenzioni nell’ipotesi dell’uso richiesto (si ha un finanziamento pubblico o un sistema di agevolazioni fiscali a favore di beni culturali di proprietà privata), o da un acquisto diretto dei diritti da parte dello Stato nell’ipotesi dell’uso limitato (certi beni la cui manutenzione richiede un elevato costo fisso, lo Stato tende ad acquisirne la proprietà).
2. beni culturali di proprietà pubblica- la natura di bene pubblico di proprietà pubblica prevale nel caso di una piazza o di un’intera città, in cui la proprietà pubblica interagisce con quella privata. Il consumo del bene in questi casi è caratterizzato da un grado di escludibilità e rivalità basso o nullo. Per queste tipologie di beni lo Stato talvolta acquisisce la proprietà da privati. 3. In molti casi i beni culturali pubblici devono essere considerati, oltre che beni di consumo per i cittadini, fattori di produzione forniti dal settore pubblico alle imprese turistiche (alle imprese che si occupano della ricettività, della ristorazione e le agenzie di viaggio). Ma chi deve pagarli? Il bene pubblico in questo caso crea una rendita per le imprese turistiche e per il principio che i fattori di produzione devono essere pagati, dobbiamo attenderci che l’amministrazione comunale possa pretendere che i fattori di produzione pubblici siano pagati secondo il valore del loro contributo marginale alla produzione (principio della controprestazione). In altri casi il bene di proprietà pubblica assume la natura economica di un bene privato- nei casi in cui i beni sono conservati in un museo o in una biblioteca. Questi beni sono fruibili solo a chi acquista il biglietto d’accesso al museo o alla biblioteca.
Il valore dei beni culturali
Anche le decisioni pubbliche riguardo alla tutela dei beni culturali comportano una valutazione comparativa dei vantaggi dell’impiego di risorse scarse in destinazioni alternative. Sulla base del valore artistico e monetario del bene culturale si sceglie il livello di ‘produzione’ pubblica del bene: dalla disponibilità a pagare di potenziali consumatori si può stabilire la loro volontà di spendere per avere ad esempio un monumento restaurato o un museo rinnovato con nuove sale e servizi accessori. Ma la determinazione di questi valori per i beni culturali di natura privata e proprietà pubblica (e anche per quelli di natura pubblica) è difficile da ottenere, in quanto non esiste un mercato di riferimento. Se non si può ricorrere all’osservazione diretta del prezzo di mercato, per determinare quanto vantaggio gli individui traggono dal patrimonio culturale pubblico si ricorre ad analogie con beni equivalenti. Se non è percorribile questa strada, si determina la ‘disponibilità a pagare’ (willingness to pay- cioè la somma massima che l’individuo o la società sono disposte a spendere per un dato bene culturale).
I diversi metodi di attribuzione del valore di beni culturali, distinguendo tra preferenze rilevate delle azioni e preferenze dichiarate dai consumatori in una situazione ipotetica sono:
Preferenze rilevate (rilevazione indiretta):
Metodo dei valori urbani- basato sulla differente rendita di proprietà immobiliari con le stesse caratteristiche ma riferite a una diversa fruizione del bene culturale
Metodo del costo del viaggio- basato sulla constatazione che la frequenza delle visite in un luogo dipende, oltre che dal prezzo d’accesso, anche dal costo del viaggio
Metodo del prezzo edonico- si basa sul principio che le preferenze di un individuo per un bene riflettano le caratteristiche che esso possiede
Metodo del valore attuale monetario creato nel tempo dal bene culturale-
Preferenze dichiarate (rilevazione diretta):
Metodo della valutazione contingente- utilizzato in molte valutazioni ambientali; la rilevazione delle disponibilità a pagare individuali deve soddisfare alcune regole teoriche e pratiche: il bene culturale deve essere descritto con cura e senza fraintendimenti; il vincolo di bilancio deve essere specificatamente indicato; il soggetto deve essere messo a conoscenza dell’esistenza di eventuali sostituti del bene; si deve essere certi che l’intervistato conosca il problema e che la sua scelta sia conseguente
Metodi sperimentali- tende a ricreare per simulazione o tramite esperimenti controllati le dinamiche della domanda e dell’offerta, allo scopo di verificare il funzionamento del mercato
Metodo del referendum- si chiede ai cittadini si esprimere il loro parere su un certo bene culturale
Metodo del volume d’affari- deriva dal volume d’affari che il bene culturale genera; si basa sulla stima della spesa dei visitatori di un bene culturale
Tutti questi metodi di valutazione della disponibilità a pagare dei consumatori per un certo bene legano il valore economico di un bene culturale alla struttura delle preferenze dell’attuale generazione di consumatori: le generazioni correnti scelgono anche per quelle future. Una bassa valutazione odierna spesso compromette l’esistenza del bene in modo definitivo dato che il bene culturale in genere è soggetto a degrado.
Nel calcolo della disponibilità a pagare si deve allora tenere conto del valore di questo diritto d’opzione (option value), secondo cui l’individuo o la società potrà trarre benefici futuri dalla possibilità di disporre di un bene culturale: la distribuzione di un bene cui oggi non si attribuisce valore ha comunque il costo latente di doversene pentire in futuro. (Se il valore dell’opzione risulta troppo elevato, lo stock di beni culturali cresce in modo marcato nel corso del tempo. Ciò comporta un aumento del costo della loro tutela, catalogazione, ecc. e quindi una successiva riduzione del valore dell’opzione.)
Ulteriori addendi alla ‘willingness to pay’ sono:
il valore d’esistenza (existence value)- quel valore che si trae dal sapere che un bene o un’attività culturale esiste, anche se non si può fruire direttamente;
il valore di eredità (bequest value)- gli individui valutano un bene culturale non per se stessi, ma per le generazioni future;
il valore creativo (innovative value)- l’arte contribuisce allo sviluppo della creatività, della capacità di valutazione critica e dei principi estetici di una società, elementi che influenzano positivamente il benessere degli individui futuri. Le indicazioni che si ottengono con queste valutazioni sono comunque incerte. Non conoscendo ora quali saranno le preferenze dei consumatori futuri, appare ragionevole non restringere in modo eccessivo la gamma delle future scelte possibili. Per questo lo Stato conserva o impone di conservare alcuni beni culturali di scarso apprezzamento corrente.
Zdroje:
Economia della arti- Guido Candela, Antonello E. Scorcu; Zanichelli -
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