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Globalizzazione- intervista immaginaria

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GLOBALIZZAZIONE E SVILUPPO SOSTENIBILE
Oggi si parla sempre più di sviluppo sostenibile, cioè sviluppo continuo, senza diminuzione, duraturo, in poche parole, capace di futuro. Da qualche decennio ci si preoccupa perché la primavera è diventata silenziosa, perché le forme di vita più allietanti e suggestive di questa stagione, come il canto degli uccelli, sono aggredite dall'impiego massiccio di una tecnologia chimica distruttiva. Ci siamo convinti che l'aria che respiriamo nelle nostre città dipende anche dal mantenimento delle foreste fluviali del Congo e dell'Amazzonia, che un battito di ali di una farfalla in Amazzonia può determinare una tempesta in Cina; sappiamo che l'Asia è diventata il paradiso dell'inquinamento, in cui la crescita degli investimenti provenienti dall'estero si realizza in parte in industrie altamente inquinanti. Se consideriamo i danni che l'uomo procura alle generazioni future, oggi è vitale prevenire. Infatti, il migliore modo per risolvere i problemi è non farli nascere. Dovremmo ricordarci che non pioveva il giorno in cui Noè si mise a costruire l'arca, che c'era un sole che spaccava le pietre!

Il rapporto elaborato dalle Nazioni Unite indica con sviluppo sostenibile una modalità dello sviluppo economico mondiale in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri. In questo rapporto delle Nazioni Unite si riscontrano tre concetti chiave: ambiente, futuro ed equità. Si pone, in sostanza, enfasi sui bisogni dei meno avvantaggiati nella società e su un trattamento equo delle generazioni future. Scopriamo in questi giorni che ad ogni primavera un quarto degli alveari francesi perde i suoi abitatori, facendo temere la loro estinzione. Sappiamo che fra le piante selvatiche francesi ventiduemila dipendono per la riproduzione dall'impollinazione delle api.

Un avvertimento forte attribuito ad Einstein ricorda che "Se l'ape scomparisse dalla faccia della terra, all'uomo non resterebbero che quattro anni di vita"! Non vorremmo, con questo, dare forza al catastrofismo, che è anche moda ed strumento politico, ma speriamo bene!
Comunque, Alan, come definiresti, in poche parole, una società sostenibile?

La società sostenibile è quella che riconosce i limiti alla crescita e cerca modi alternativi per crescere, una società che favorisce uno sviluppo in grado di ottenere una duratura soddisfazione dei bisogni umani e un miglioramento della qualità della vita umana.

Sviluppo e progresso: non sempre ad un mutamento sociale si accompagna uno sviluppo e un progresso. Lo sviluppo è un aumento di complessità; il progresso è un miglioramento qualitativo della vita degli uomini, cioè sviluppo più miglioramento nelle dimensioni morali, estetiche e cognitive della società. Può, così, verificarsi il caso di una società che abbia uno sviluppo non accompagnato da alcun progresso: ad esempio, una nazione che progredisce nel campo scientifico, reprimendo le espressioni di libertà o sfruttando altri Paesi.

Un'accusa rivolta spesso al sistema industriale è quella di "pompare", d'immettere, troppa energia nell'ambiente, allo stesso modo in cui uno sportivo rovina la propria salute per raggiungere un rendimento massimo nella sua prestazione. Il sistema industriale è accusato spesso d'essere "estraneo" alla natura perché, essenzialmente, appare interessato ai processi d'ottimizzazione e rivolto ad una più efficace allocazione e gestione delle risorse.

Nei tuoi scritti tu sembri auspicare una società più "leggera", con consumi più "leggeri". Faccio un esempio: una ricerca attesta che, oggi, mediamente, un cittadino tedesco possiede, nell’arco della sua vita, circa diecimila oggetti. L'individuo, per questi, prima dell'acquisto deve documentarsi, poi sceglierli, trasportarli, disporli, comprenderli, pulirli, ripararli, custodirli ecc. Tutti gli oggetti divengono, così, "ladri di tempo". La scarsità del tempo costituisce la contraddizione della nostra società, "la vendetta della ricchezza". L'uso e l'abuso della tecnologia nelle società moderne - ad esempio, il modo di utilizzare gli automezzi di grossa cilindrata - si possono ben sintetizzare raffigurando un uomo nell'atto di tagliare il burro con una motosega.

Oggi, paradossalmente, un uomo dovrebbe considerarsi "ricco" secondo il numero delle cose che può concedersi di non fare o di non possedere.

Sembra evidente che le diverse dimensioni dello sviluppo sostenibile non possono fare a meno di realizzarsi, pena la sua invalidità, su di un ambito internazionale, che coinvolga tutti i Paesi del mondo intero.

I profondi processi di globalizzazione dell'economia, che spingono, ad esempio, verso scelte di sviluppo urbano distanti dai bisogni e dall'identità locale delle città, determinano una serie di "regionalismi" con una richiesta pressante da parte delle comunità locali di ri­spetto per le proprie differenze socioculturali, dei loro modi di vivere e abitare, che a volte sfociano in conflitti dolorosi, anche di carat­tere bellico.

Tu sei solito sottolineare che per le nazioni più povere si delineano due opposti scenari.

Sì. Nel primo caso, i Paesi poveri possono prendere in prestito il processo di industrializzazione dei paesi del Nord per raggiungerli nell'arco di alcune decine di anni: prima arriverà l'industria pesante affamata di energia, successivamente l'industria manifatturiera, che inizierà la ricerca del miglioramento delle tecniche ed infine le produzioni ad alta tecnologia. Le conseguenze di questo scenario sono incalcolabili: in meno di dieci anni il decollo di Africa, America del Sud e del Sudest asiatico darebbe fondo alle riserve petrolifere.

In base al secondo scenario…. Il secondo scenario richiama il "salto della rana": i Paesi poveri possono tentare di bruciare le tappe del loro sviluppo per raggiungere direttamente il livello tecnico di produzione dei Paesi sviluppati, grazie ad un massiccio trasferimento di tecnologie pulite.

Alcuni economisti ritengono di trovare una risposta al problema dello sviluppo sostenibile nel funzionamento del mercato. Sostengono che a certe condizioni è il mercato che porta alla sostenibilità: se, infatti, ci fosse un uso troppo intenso di una risorsa esauribile, la sua scarsità relativa farebbe aumentare il prezzo e questo porterebbe a una riduzione della domanda, riequilibrando il sistema. Altri, però, più prudentemente, ritengono necessario integrare l'azione del mercato con qualche forma di indirizzo pubblico. Il problema di una regolamentazione è sollevata da più parti. Rifkin, ad esempio, prefigura un futuro dominato dall'inquinamento genetico. Anche se il ventunesimo secolo è spesso definito "il secolo dell'informatica", per Rifkin, la materia prima del mercato più importante del prossimo secolo saranno i geni: questi non saranno utilizzati solo in agricoltura, nell'allevamento e nella medicina, ma anche per produrre materiali da costruzione o come risorse energetiche. Questione fondamentale è, quindi, quella che riguarda i brevetti dei geni, una tappa di importanza cruciale, perché si potrebbe stabilire che la vita può essere brevettata e commercializzata. Ciò comporterebbe il problema di quale sia il senso della vita, cosa che non può essere delegata al mercato.

Il vero ostacolo sta nella resistenza degli interessi economici, nel dogmatismo politico, nella stagnazione delle menti.

Tu sei solito sostenere che occorre trovare un nuovo modello di collaborazione tra tutti gli attori interessati ed una nuova distribuzione di poteri tra stato, imprese e l'emergente terzo sistema delle associazioni dei cittadini e dei movimenti.

Nessuno dei tre gruppi di attori può da solo raggiungere l'obiettivo. L'articolazione degli spazi di sviluppo, locale, regionale, nazionale e transnazionale, e il corretto equilibrio tra considerazioni a breve e lungo termine, non sono compatibili con l'azione illimitata delle forze di mercato, né lo sono con la conduzione degli affari pubblici da parte dello Stato in maniera verticistica o ancora con la gestione dello sviluppo da parte delle iniziative dal basso….

…Un'economia di mercato civilizzata richiede un insieme di regole che non possono emergere dal funzionamento delle sole forze esistenti nel mercato, ma richiede in più una quota di indirizzo flessibile e strategica. A livello istituzionale, è auspicabile sviluppare metodi di regolazione democratica dell'economia…

…La globalizzazione politica, cioè la politica pubblica estesa a livello della rete delle relazioni politiche fra Stati, appare però, oggi, in ritardo rispetto alla dimensione economica; sembra che non vi sia una consapevolezza politica adeguata al livello della sfida che comportano sviluppo sostenibile e globalizzazione economica.

Oggi, da alcune parti, si evidenzia l'esigenza di un'economia regionalizzata, confederata. Si evidenzia, inoltre, l'esigenza di una decentralizzazione sia delle grandi imprese, anche se ciò significa enormi interessi da contrastare, sia dello Stato.

In molte sedi istituzionali si può riscontrare un richiamo alla dimensione "locale", da contrapporre o comunque integrare con quella planetaria. Si comincia a discutere, cioè, sulle diversità locali delle varie società. Queste, affermando il principio del localismo cosmopolitano, che traduce il noto detto "pensare globalmente, agire localmente", dovrebbero garantire le loro peculiarità all’interno di un sistema globale.

Occorre, in poche parole, ripensare ai sistemi di produzione, riconsiderare gli stili di vita, i valori, le nuove mentalità e valorizzare un'educazione non ispirata essenzialmente dall'economia.

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